relazioni tossiche

“L’essere umano può raggiungere un benessere più soddisfacente nel momento in cui si sente nel mondo come a casa propria” (A. Adler).

Per ragioni evoluzionistiche, gli esseri umani tendono a mantenere i legami interpersonali dai quali ottengono protezione. L’attitudine all’auto-conservazione consente di garantire la sopravvivenza e trova aumentate possibilità nel gruppo, fonte di riparo dai pericoli circostanti.  A. Adler, psichiatra psicoanalista austriaco, supponeva che gli uomini fossero mossi da due istanze direttrici: la volontà di Autoaffermazione e il Sentimento sociale. Quest’ultimo inteso come insito bisogno di cooperare e di compartecipare emotivamente con i propri simili (Parenti, 1983).
Nello scenario collettivo, la solitudine è contrapposta al mondo costellato da relazioni. Pertanto, l’individuo cerca affannosamente di placare l’isolamento esistenziale con le gioie della vita.
Ognuno di noi, invece, ha un modo personale di rappresentare, vivere e regolare la propria solitudine. Questo ci lascia pensare che non esista una forma universale e che il significato sotteso va cercato nella storia individuale.

• LA SOLITUDINE COME ANGOSCIOSA INADEGUATEZZA I vissuti di isolamento, di abbandono e di perdita evocano sensazioni spiacevoli di esclusione e di rifiuto. Toccano le corde del valore personale e del grado di amabilità della persona.
“Se rimanessi solo vorrebbe dire che nessuno mi ama?”. Le esperienze familiari di deprivazione emotiva e trascuratezza sono all’origine di vissuti di deprezzamento e svalutazione di sè. Così, quel senso emergente di inadeguatezza e “non amabilità” ritorna dolorosamente nei momenti di solitudine e, come spesso accade davanti alle cose che ci provocano sofferenza, ci difendiamo evitando attivamente di restare soli.

• LA SOLITUDINE COME FUGA Esiste una forma di solitudine che funge da via di fuga alla tensione della vita quotidiana e alla dimensione pericolosa delle relazioni.
Spesso tende a mascherare la debolezza e la vulnerabilità originata dal confronto intimo con gli altri. Il rischio diviene quello di cadere nell’ottusa autosufficienza e nell’estremo soggettivismo.

• LA SOLITUDINE COME OPPORTUNITA’ DI CRESCITA E CREATIVITA’ Dividere significa in qualche modo tagliare e indebolire, ma per il principio di ambivalenza presente in ogni concetto, significa anche autonomizzare e fortificare. È un’occasione di conquista e maturazione della propria individualità; è sede di espressione della creatività e della riflessività; è un momento di raccolta dei pensieri e delle emozioni, e di ricerca del significato personale. La solitudine può rispondere al bisogno di recuperare le energie disperse nel mondo e di ritrovare quella parte oppressa dalla frenesia della vita. È un tentativo di ridare valore al silenzio come atto preparatorio al comunicare con gli altri.

Si può fare a meno del sentirsi soli? Non esiste uomo che non abbia conosciuto la solitudine e che non si sia confrontato con il proprio vuoto interiore, con la paura della morte e dell’abbandono.
Quando la paura della solitudine diventa una trappola emotiva, l’atto coraggioso di riconoscerla e di affrontarla costituisce il primo passo per superarla. Riuscire a sentirla e a viverla come uno stare in compagnia di se stessi, diventa un’esperienza maturativa che bilancia il piacere autentico di cercare la presenza degli altri. Intraprendere un percorso di ritrascrizione dei significati e delle paure sottostanti, consente di limitare i comportamenti disfunzionali che regolano il malessere provato e di migliorare la qualità del tempo trascorso con sè.

“Il mondo non ti regala nulla, credimi. Se vuoi avere una vita felice, rubala” (Lou Andreas- Salomè).

Dott.ssa Rosanna Bruno