relazioni tossiche

”Non ce la faccio più” , “Ormai faccio il minimo indispensabile”, “Non mi interessa più niente”… quante volte nella nostra vita quotidiana parlando con un collega o un amico ci sentiamo ripetere queste frasi? Sotto quella che sembra essere una semplice lamentela potrebbe celarsi un disagio più profondo, una condizione di esaurimento emotivo che la stessa OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – dopo decenni di studi, ha ufficialmente riconosciuto come disturbo medico a livello internazionale e che entrerà a far parte dell’elenco dal 2022, come patologia correlata allo “stress da lavoro” ma con tratti più invalidanti e ingravescenti nel tempo. Il burnout, pur considerato tipico delle helping professions in cui le abilità personali contano quanto quelle tecnico- professionali ed in cui il carico di responsabilità nei confronti dell’utenza è forte, appare oggi come un fenomeno estensibile a tutte le categorie occupazionali, dal libero professionista al dipendente di un’organizzazione aziendale.

Si parla di vero e proprio processo stressogeno, che colpisce le persone in ambito lavorativo e che porta con sè lentamente e subdolamente una perdita della motivazione, rendendo insostenibile la situazione lavorativa. Dall’entusiamo iniziale per il proprio lavoro, gradualmente si incomincia a percepirne il peso, con una frustrazione via via crescente ed un senso di apatia sempre più forte. A differenza dello stress funzionale, il mancato riconoscimento di questo stato porta ad uno “stress cronico” con tutte le conseguenze che esso può provocare a livello globale del funzionamento dell’organismo. Non è un caso infatti che i sintomi del burnout prendano connotazioni chiaramente psicosomatiche, coinvolgendo ogni sfera dell’individuo:
• Organica, ad esempio mal di testa, digestione difficile, gastrite, dolori muscolari anche in assenza di evidente affaticamento fisico;
• Emotiva, con reazioni d’ansia, depressione, senso di impotenza e di disperazione;
• Cognitiva, difficoltà di concentrazione e di memoria, le quali tendono sovente a perdurare anche al di fuori dell’ambiente lavorativo, la cosiddetta “stanchezza mentale” o “sovraccarico cognitivo”;
• Comportamentale, molti lavoratori stressati lamentano di essere facilmente irritabili e aggressivi, altri si descrivono come “asociali”, con una tendenza a estraniarsi o evitare le situazioni di confronto, in altri casi ancora potrebbe esserci il ricorso all’alcol o al tabagismo o altre forme risolutorie più facilmente accessibili.

Ma quali sarebbero le cause?
Non vi sono dei veri e propri fattori causali, il burnout è da considerarsi multifattoriale, ed in quanto tale è il risultato di fattori individuali, familiari, sociali, relazionali ed ovviamente lavorativi.
Ogni situazione va considerata in relazione alle peculiarità personologiche del singolo individuo, tuttavia varie ricerche hanno messo in luce una serie di fattori di “rischio”, tra cui una mole di lavoro eccessiva, incertezza nei ruoli ricoperti, pressione da parte dei superiori, conflitti tra colleghi, inadeguatezza del ruolo assunto, che uniti ad una ridotta capacità di adattamento individuale e ad inadeguate strategie di coping nell’affrontare la situazione possono condurre all’esaurimento. Ed ecco anche spiegato il motivo per cui nello stesso ambito lavorativo non tutti entrano nella spirale del burnout!
Come intervenire?
A livello aziendale possono essere adottati interventi rivolti al miglioramento del clima e alla valorizzazione delle risorse, studiando preventivamente la tipologia di lavoro ed il contesto aziendale.
Ma ognuno di noi può agire innanzitutto sulla prevenzione, cercando di intervenire ai primi malesseri, adottando tecniche psicologiche che aiutino a migliorare la resilienza e ad aver cura della propria persona, sia da un punto di vista fisico che mentale, ed è proprio in quest’ottica integrata che si collocano due importanti metodologie rivolte al trattamento del burnout.

Il fitness cognitivo – emotivo, lavorando sul rafforzamento dell’autostima e dell’autoefficacia, aiuta l’individuo ad acquisire maggiore consapevolezza delle proprie risorse, delle proprie aspettative, e degli schemi con cui ci rivolgiamo alla vita quotidiana. Partendo dalle esperienze presenti e dalla capacità di apprendimento da esse, allena la mente a porsi da prospettive diverse, a migliorare le proprie capacità di scelta, imparando quindi a gestire in maniera nuova anche le situazioni difficili. In maniera sintonica mira inoltre, tramite interventi di gruppo, a sviluppare capacità emotive che permettano all’individuo di riappropriarsi delle proprie emozioni e della loro comunicazione nella relazione di gruppo. Se concepiamo le nostre capacità cognitive ed emotive non finite ma in continua evoluzione, ecco che anche di fronte a nuove situazioni viene immediato rendersi conto di quanto debbano e possano evolversi in continuazione.
La pratica della mindfulness avendo, allo stesso modo come obiettivo un livello maggiore di benessere psicofisico, si è dimostrata essere efficacie nella riduzione dello stress e delle patologie ad esso correlate, e quindi anche nella riduzione di diverse sintomatologie legate al burnout e più in generale nel promuovere cambiamenti nella propria percezione delle situazione al fine di adottare strategie di coping più funzionali.

“A volte, la cosa importante nell’arco di una giornata è la pausa che facciamo tra due respiri profondi” (Etty Hillesum)

Dott.ssa Milena Pavanati