ansia

Il suicidio è un atto di per sé inspiegabile e di difficile comprensione, perché sfugge alla regola evoluzionistica della sopravvivenza e dell’ adattamento, eppure ogni epoca ed ogni cultura umana hanno dovuto assistere a questo tipo di comportamento che è l’atto meno “naturale” e che sfida il principio dell’autoconservazione.

Molte sono le prospettive dalle quali viene cercato un significato nell’atto suicidario, dalla religione alla filosofia ed anche dalla psicologia e psicopatologia. La maggioranza degli psicologi e degli psichiatri fa riferimento ad un modello psicopatologico basato sul rapporto stress-vulnerabilità, che considera il comportamento suicidario come il prodotto tra l’interazione di una soglia di rischio individuale per il suicidio (predisposizione) ed eventi scatenanti (eventi stressor, come malattie o traumi di vita).

Il superamento di tale soglia, ovvero quando la capacità di adattamento non riesce a tenere testa ad un evento trigger traumatico, determinerebbe la manifestazione di agiti suicidari. La sogllia si riferisce alla tendenza a mostrare comportamenti suicidari e può essere considerata come un elemento di tratto (personalità); gli stressor invece come elementi temporanei e casuali che il soggetto incontra nell’arco di vita.

In letteratura sono stati studiati numerosi fattori di rischio, riportati brevemente qui sotto:

  • Storia di precedenti tentativi di suicidio. Chi ha già tentato il suicidio ha molto più rischio di recidiva rispetto alla media della popolazione. Specialmente nel primo mese dal primo tentativo e fino a 2 anni assistiamo ad un rischio più alto che tende a normalizzarsi solo dopo il secondo anno. Anche i comportamenti autolesionisti sono considerati fattori di rischio al comportamento suicidario
  • Familiarità. La familiarità è un altro elemento da valutare molto attentamente. Se in famiglia vi è storia di suicidi, il rischio per i restanti membri è più alto rispetto alla media. Gli studi hanno individuato una più alta correlazione tra genitori e figli biologici rispetto ai figli adottivi. Anche i gemelli omozigoti hanno mostrato più rischio rispetto agli eterozigoti.
  • Abusi fisici e sessuali. La letteratura è concorde sull’importanza che hanno gli abusi fisici e sessuali nell’aumentare il rischio di suicidio, specialmente in caso di abusi precoci e ripetuti nel tempo.
  • Diagnosi psichiatriche. Il 60% circa di tutti i suicidi si verifica in comorbidità di un disturbo psichiatrico, quasi tutti disturbi dell’umore. Non vi è alcun dubbio infatti che un episodio depressivo, con o senza diagnosi psichiatrica, rappresenti una condizione da valutare rispetto al rischio suicidario
  • Stato di salute fisica. In presenza di malattie lunghe e logoranti, il rischio di suicidio aumenta. Patologie gravi come Sclerosi multipla, lesioni spinali, tumori con dolore cronico, Hiv aumentano il rischio suicidario, vissuto spesso dal paziente come “atto liberatorio” dalle sofferenze

Sono stati anche indagati i fattori protettivi, ovvero quegli elementi che diminuiscono il rischio di suicidio nel paziente, tra cui ricordiamo

  • la presenza di figli
  • la gravidanza
  • un alto senso di responsabilità verso gli altri
  • una profonda fede religiosa
  • il disporre di un supporto sociale
  • la facilità di accesso alle cure o a figure professionali di sostegno
  • la presenza di una buona alleanza psicoterapeutica
  • un limitato accesso ai mezzi letali
  • buone capacità di problem solving

Sicuramente il rischio suicidario è un elemento chiave nella valutazione psicologica di un paziente, ed in presenza di fattori che predispongono al rischio è bene prendere al più presto misure che allontanino il paziente da questi comportamenti.

Dott. Simone Tealdi