rimuginio

“C’era una volta una bambina buona e bellissima…”

Quante volte, mamme e papà, vi sarà capitato di raccontare sempre e solo quella fiaba ai vostri bambini prima di metterli a letto la sera!

Spesso infatti i bambini individuano una favola o un racconto preferiti: quelli che li colpiscono particolarmente si rivelano strumenti utili in un contesto terapeutico sia in fase di assessment che in fasi successive del percorso in termini di rielaborazione del materiale emerso.

La favola preferita di un bambino ci mostra le sue parti più caratterizzanti: essa infatti rappresenta il primo modo che il bambino ha, in termini narrativi, di strutturare il suo senso di sé emergente, di riconfermarlo cioè nel tempo (di qui, le esigenze di regolarità e ripetitività che il bambino insistentemente ricerca).

Compito del bambino è quello di ordinare gli stimoli provenienti dal mondo esterno costruendosi una mappa di significati stabili: la sua struttura mentale non contempla ancora l’ampio spettro di astrazione di quella adulta, la sua realtà è una realtà prevalentemente simbolica e le spiegazioni di cui ogni bambino va alla ricerca, già a partire dai 3/4 anni, sono spiegazioni per immagini; è per questo che un’informazione più tecnica, razionale e realistica non risponde efficacemente ai “perché” dei bambini, che quindi si rifugiano nel mondo dell’immaginazione, un mondo che tutti conosciamo, anche se talvolta può capitare che non ricordiamo di averci vissuto da piccoli. La fiaba parla dei perché, ed è “il primo ordine autoreferenziale analogico” del bambino (Guidano, 2008).

Ogni fiaba racconta una storia, e queste storie hanno un carattere universale. Tipicamente si parte da una mancanza di base che, nel mondo del “per finta”, il bambino sta simulando insieme a noi: in questo modo è possibile identificare il problema emotivo e vediamo come le fiabe parlino al bambino, ma anche a noi, genitori e terapeuti, dei problemi con cui ha quotidianamente a che fare (ad esempio, sentirsi non desiderato, non accettato, solo, perso, vuoto, spaventato, ansioso, timoroso di fare qualcosa di sbagliato). Da qui parte l’eroe con una missione da compiere ed un problema da risolvere; attraverso la fiaba il bambino ascolta e sperimenta il percorso dalla crisi alla soluzione della crisi, attivando strategie di coping e risorse profonde, osservando l’entrata in scena di uno o più aiutanti che forniscono all’eroe modi magici e soluzioni creative per superare le difficoltà (vi saranno venuti in mente i vari animaletti del bosco, fate, cacciatori, buone vecchine…). Questo è il metodo classico di soluzione delle crisi nelle fiabe tradizionali, che sempre approdano al “…e vissero tutti felici e contenti”: il lieto fine, che rappresenta la risoluzione positiva delle emozioni critiche attivate, traducendo le strategie interne del bambino, la sua identità, le sue emozioni, le sue rappresentazioni, e dunque insegnandoci sempre qualcosa. In conclusione, nel contesto di un processo terapeutico la fiaba può essere utilizzata:

come CONOSCENZA, avendo essa un duplice valore comunicativo, in quanto veicola non solo contenuti ma anche nuclei di senso e significato;

come ESPRESSIONE simbolica dei processi fisici e psichici in atto;

come SOLUZIONE, ovvero come campo di esperimento delle possibili soluzioni ai problemi.

Il bambino non è un adulto in miniatura: è un bambino! Genitori, non stancatevi di raccontare loro le fiabe!

Dott.ssa Simona Filippini

Riferimenti bibliografici:

Santagostino, P. (2004), Guarire con una fiaba. Usare l’immaginario per curarsi, Feltrinelli, Milano.

Guidano, V.F. (2008), La psicoterapia tra arte e scienza, FrancoAngeli, Milano.